Una sfida decisamente “anomala”, in quanto indubbiamente più sentita da parte viola che non bianconera, ma ciò nonostante una partita mai banale: incontri spesso contrassegnati da un agonismo sopra le righe, sfottò tra le curve (pochi) e polemiche a distanza (tante), sintomo di una rivalità che va ben oltre il rettangolo verde.
Al di là dei tradizionali confini nazionali, in questo 2014 lo scontro si riversa anche sul palcoscenico continentale, con un doppio confronto in Europa League che già nei primi 90 minuti ha mostrato tutte le incertezze e sorprese insite in una sfida del genere.
Quello odierno è solo l’ultimo dei “derby italiani” che hanno avuto come sfondo le coppe europee: una sequenza iniziata nel 1985-86 in Coppa dei Campioni, coi detentori della Juventus contrapposti agli scudettati dell’Hellas Verona, e proliferata poi nel corso degli anni novanta, quando la vecchia Coppa UEFA era in pratica divenuta un feudo del calcio tricolore.
Proprio la seconda manifestazione continentale per club è stata teatro dell’unico precedente “biancoviolanero” in Europa. Era la stagione 1989-90, e le due rivali si trovavano di fronte per un appuntamento ben più importante di quello attuale: in gioco c’era l’ultimo atto del torneo, in palio c’era la conquista del trofeo.
Una partita che già prima del fischio d’inizio aveva fatto la storia, poiché per la prima volta due compagini italiane monopolizzavano una finale europea.
A riguardarle oggi, le due maglie scese allora in campo ci fanno immediatamente tornare indietro nel tempo… a quando il nostro campionato era “il più bello del mondo”, e le sue casacche erano ancora intrise, seppur in minima parte, di quell’alone di tradizione misto a un’eleganza e semplicità che non passa mai di moda.
Tutte cose che le roboanti rivoluzioni stilistiche, deflagrate bruscamente nel decennio seguente, finiranno per accantonare senza troppi complimenti.
A riguardarle oggi, le due maglie scese allora in campo ci fanno immediatamente tornare indietro nel tempo… a quando il nostro campionato era “il più bello del mondo”, e le sue casacche erano ancora intrise, seppur in minima parte, di quell’alone di tradizione misto a un’eleganza e semplicità che non passa mai di moda.
Tutte cose che le roboanti rivoluzioni stilistiche, deflagrate bruscamente nel decennio seguente, finiranno per accantonare senza troppi complimenti.
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